lunedì 9 giugno 2008


“Diamine, fai un po’ come vuoi!”. E sbattendo le mani per aria, Gloria riprese la strada in mezzo all’erba del giardino, non curandosi dei suoi piedi piatti che pestavano il fondo del parco. Nell’angolo sentiva i suoi passi un pover’uomo, abbracciato alla sua chitarra, che cantava ancora “Whiskey in the jar”, ma che nessuno conosceva. A Carolina ricordava gli anni del liceo più che l’Irlanda, e forse anche i Metallica. Ma stavolta non trovava pace neanche nel suo (solito) soft-metal. Com’era tutto più maledettamente complicato!

Chiese per la prima volta una sigaretta a un passante. E come tutte le sante volte, le venne in mente quella frase di Pavese sulle sigarette e il senso della vita. Sempre quella, tutte le volte che chiedeva una sigaretta.
Il vecchio con le unghie nere continuava a suonare il suo “Whiskey”, forse più per nostalgia che per soldi.

Era una lucky-strike. Mai piaciute. E dall’altra parte stringeva/teneva ancora sotto il braccio quel blocco di note. Era forse venuto il momento di comprarsi un pacchetto di sigarette. Sì, ma quali? E chi l’aveva mai comprato!
‘Ma che problemi mi faccio, quando ne ho ben altri da risolvere!’ pensò toccandosi una tempia con la mano destra; e si avviò lungo la strada, fuori dai Giardini Pubblici, avvolta nell’Aspesi.
Nemmeno si accorse di entrare in casa, cantando una canzone di Fat Boy Slim; una che nemmeno si ricordava, di un vecchio film, che l’aveva fatta piangere. Una canzone ormai di qualche bar di jazz, da sottofondo di un sassofono e un pianista un po’ brillo; un misto tra Casablanca e Profondo Rosso. E si sentì (sola,) come sedesse ad uno di quei tavolini rotondi da film, nel suo angolo, col suo bicchiere di Jack-Daniel’s o qualcosa di simile che non ricordava.

Sentì un impestato senso di vuoto abbarbicarsi dentro di sé.
Mai bevuto più di un bicchiere di spumante ai matrimoni e a natale, ma l’idea di starsene seduta, nella penombra di un pianoforte, tra le luci soffuse delle sigarette, con la mente libera, penetrata solo dalla voce fatale di (una) qualche cantante di jazz e dal suo sassofono maledetto. Quel sassofono… Era in un film inutile, di cui non valeva la pena ricordare nulla, tranne quel sassofono. E quel night-club incastonato dentro quella luce blu, e Jim Caviezel che suonava una canzone, e forse proprio quella che canticchiava tra sé e sé Carolina quella sera.

Robbi